LIGURIA
VENTIMIGLIA
Giardini Botanici di Hanbury
DI ALESSANDRA VALENTINELLI
Giardini Hanbury oggi non racchiudono solo un interesse scientifico o un indubitabile godimento estetico: offrono un peculiare spaccato di storia degli studi botanici. Le attuali collezioni riflettono infatti l’avvicendarsi dei singoli curatori, i legami consolidati con gli Orti botanici di mezzo mondo, le sensibilità maturate dai proprietari nei lunghi anni di permanenza a La Mortola. Per questo il calendario delle fioriture abbraccia l’alternanza dei mesi ma anche il susseguirsi delle stagioni culturali di acquisizione delle raccolte.
Nati come stazione per l’acclimatazione di piante esotiche, i Giardini Hanbury conservano i propositi originari negli esemplari più vetusti del patrimonio arboreo: il Pinus canariensis, l’Araucaria del Queensland, la Casimiroa dai frutti commestibili, importati tra il 1868 e il 1872, testimoniano le ricerche di farmacopea del fratello di Thomas, il botanico Daniel Hanbury. Vicino al Palazzo si passeggia in quello che, a tutti gli effetti, rappresenta l’album vivente dei viaggi, dei ricordi e delle relazioni intessute dagli Hanbury ai vari angoli del pianeta: il melograno che già si addossava alla loggia, la Banksia che Thomas reca con sé dalla Cina, la Samuela, la varietà di Yucca scoperta da William Trelease nei deserti messicani nel 1900; il Cupressus lusitanica donato nel 1869 dal direttore del Jardin des Plantes di Antibes Gustave Thuret misurava nel 1912, 16 metri d’altezza e 1,7 di circonferenza, oggi è alto 25 e ha un tronco di 5. Così lungo la “Topia”, la pergola che adornava il parco dei marchesi Orengo, prosperano tra glicini, clematis, bignonie e thunbergie, le Semele delle Canarie, l’Homalocladium delle Isole Salomone, la Tetrastigma vietnamita.
La parte più acclive del Parco, a monte del Palazzo, è la più fedele al progetto delineato da Ludovico Winter su indicazioni di Thomas Hanbury, anche in ragione dei vincoli costituiti dal sistema di irrigazione e dai muri di consolidamento realizzati all’acquisto della tenuta, per attrezzare i vecchi terrazzamenti. Scendendo a levante si attraversa il versante delle succulente, fulcro degli impianti di Aloe africane curati da Kurt Dinter prima e accresciuti poi da Alwin Berger con le cactacee americane: 325 specie di Aloe nei tipi colonnari delle A. principis, striscianti delle A. mitriformis o flessuosi delle A. striatula, il rosa tappezzante del Drosanthemum, oltre cento varietà di Agavi e cacti, tra cui spiccano le Yucca australis e elephantipes, il carminio acceso della Schotia brachypetala, le Beaucarnea stricta e recurvata. Percorrendo invece verso ovest la “Grande route”, la carrabile tracciata da Winter, si incrociano il palmeto e le specie più rare selezionate dagli Hanbury: i banani dell’Africa tropicale Musa paradisiaca, maurelii e cavendishi, le palme Brahea dulcis e armata, il Microcitrus un agrume selvatico australiano, il Chiranthodendron pentadactylon trovato a metà Ottocento in Guatemala, la Ginkgo biloba all’epoca reperibile solo nella Cina interna, le Chicas revoluta e le Macrozamia, due famiglie risalenti al Mesozoico, l’Ephedra altissima sahariana, la sempreverde cilena Quillaja saponaria.
L’effetto che si otteneva dall’accostamento di specie diversamente adattate al clima locale è l’estendersi delle fioriture all’intero anno solare; è tuttora uno spettacolo che si ripete al volgere dei mesi ma che si può cogliere in ogni momento nei terrazzi digradanti verso la villa: passando dalle piante subtropicali del giardino delle “Quattro stagioni” che sbocciano dall’inverno all’estate inoltrata, al giardino giapponese che accoglie iris, narcisi e pruni, al pianoro delle rose e peonie, sino al viale che la fronteggia e ospita, assieme alle aromatiche, a salvia, timo, lavanda o maggiorana, le fragranze odorose di calicanti, gelsomini, caprifogli e aranci amari.
Appena a valle della casa, ai lati dei viali che immettevano inizialmente ai Giardini e la “Vista Nuova”, l’ingresso panoramico aperto da Dorothy Hanbury nel 1920, si stende la Foresta australiana con i suoi Eucalyptus camaldulensis, citriodora e sideroxylon, le Melaleuca preissiana e cuticularis, la sterculiacea Brachychiton discolor.
Oltre la strada romana Julia Augusta che taglia il giardino da est a ovest, si giunge alla Piana; nelle lettere di Thomas alla moglie Katharine, è descritta selvatica, a macchia mediterranea, con al centro l’uliveto plurisecolare appartenuto agli Orengo. La zona bassa mostra i maggiori interventi di risistemazione intrapresi da Lady Dorothy alla scomparsa dei suoceri. Con l’aiuto del marito, Cecil Hanbury erede della proprietà, del padre, l’architetto paesaggista John Frederic Symons-Jeune, e del fratello Bertram Hanmer Bunbury Symons-Jeune, vivaista di ambienti rocciosi, si arricchisce di antichi cultivar delle valli liguri, agrumi e frutti esotici. Accanto al Viale degli Ulivi che conduce al mare, sono disposti limoni, pompelmi, mandarini, clementine e le innumerevoli varietà di Citrus: cedri, chinotti, bergamotti, aranci dolci e amari; sul margine est sono impiantati fruttiferi sudamericani e neozelandesi, cotogni cinesi, peschi e nespoli giapponesi, i domestici sorbi, noccioli, giuggioli e pistacchi.
Vicino alla costa infine, tra i pini, le cisti e il campo delle salvie, si incontrano l’Acacia karroo dalle grandi spine e un giovane maschio della messicana Olmediella betschleriana, con la femmina all’Orto botanico di Napoli, gli unici esistenti in Europa. Dopo la guerra e le distruzioni degli opposti fronti francese e tedesco, Dorothy nel 1960 vende i Giardini allo Stato italiano che li assoggetta al vincolo di tutela storico-paesistica, ne cede nel 1983 la custodia all’Università di Genova e nel 2000 vi istituisce l’Area Marina protetta. Con 2.500 taxa tra vecchi e nuovi impianti, la Facoltà di Botanica gestisce ora anche una Banca del Germoplasma per la conservazione della biodiversità endemica, a rischio nelle Alpi liguri: prosecuzione ideale degli Erbari stilati dai primi giardinieri e curatori, é il cerchio che si chiude, legando i migliori auspici degli Hanbury alla ricerca presente e al futuro. Alessandra Valentinelli